Una comunicazione che scalda

A soli sette giorni dalla sua ordinazione episcopale, primo incontro del vescovo Vito con gli operatori della comunicazione, a ridosso della ricorrenza del patrono san Francesco di Sales. Nella prima mattinata di sabato 28 gennaio, Sala degli Stemmi gremita di giornalisti e comunicatori locali e tanta curiosità verso l’approccio relazionale del nuovo pastore della Chiesa di Rieti. «Sono molto lieto di potervi accogliere e vi ringrazio sin da subito anche per i momenti di incontro che abbiamo vissuto in questi giorni», dice monsignor Piccinonna riferendosi alla grande macchina organizzativa messa in campo per il giorno del suo insediamento del 21 gennaio.

Don Vito accoglie con il sorriso nella sua nuova casa, «nella nostra casa», e si scusa «per aver rubato molto del vostro tempo con la mia persona». L’approccio è semplice e concreto, un’impronta che già da questi primissimi giorni da vescovo, monsignor Piccinonna ha tenuto ad imprimere. Autenticità, concretezza, poche chiacchiere e tutti al lavoro senza egocentrismi o corse al primo posto per iniziare questo nuovo cammino: «Voglio essere presente ma non presenzialista. In questa città, in questa Chiesa, nella nostra cattedrale e tra i diversi appuntamenti, ho voluto che ci fosse anche un incontro particolare con voi in questi giorni che seguono la memoria liturgica di san Francesco di Sales, che è proprio 100 anni fa, veniva insignito da Pio XI di questo titolo di patrono dei giornalisti».

L’incontro tradizionalmente svolto negli ultimi giorni di gennaio rappresenta un appuntamento importante per i comunicatori reatini, condiviso sia da nuove leve che da protagonisti della vecchia guardia. Ci si incontra e ci si confronta, si riflette e ci si conosce, in alcuni casi nascono nuove collaborazioni. Con la voglia di migliorarsi e guardare avanti, facendo tesoro della propria professionalità ma anche del Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali che papa Francesco ogni anno offre alla categoria. Il Pontefice esorta quest’anno ad una comunicazione che sappia «parlare con il cuore», promuovendo un linguaggio di pace e un confronto cordiale. «In un periodo storico segnato da polarizzazioni e contrapposizioni – da cui purtroppo anche la comunità ecclesiale non è immune – l’impegno per una comunicazione “dal cuore e dalle braccia aperte” non riguarda esclusivamente gli operatori dell’informazione, ma è responsabilità di ciascuno», scrive papa Francesco.

Braccia aperte anche per il vescovo Vito, che in un’agenda fittissima di impegni, nella sua prima fase di osservazione sta aprendosi all’ascolto e alla conscenza verso le realtà del territorio, con particolare attenzione verso quelle più fragili, ma senza perdere di vista l’ottimismo da riversare sul futuro. A simboleggiare il suo punto di vista aperto al nuovo che avanza, la visita al reparto di neonatologia dell’ospedale cittadino, «perché anche davanti alle sfide, anche davanti alle macerie dell’esistenza, non solo fisiche, c’è sempre e comunque un futuro su cui dobbiamo far leva».

Monsignor Piccinonna invita i giornalisti a parlare di speranza a sviluppare sentimenti di fiducia: «Di solito si dice che dobbiamo guardare il bicchiere mezzo pieno, talvolta non vediamo nemmeno il bicchiere! Per cui questa sfida della speranza è una sfida che dobbiamo far nostra e dobbiamo anche saperla coltivare».

I colleghi ascoltano, prendono appunti, sottolineano i passaggi più incisivi sui loro taccuini. Si cerca di far tesoro dello scambio, riportando poi concretamente nel lavoro e nella vita quotidiana gli spunti assorbiti nella mattinata. «Penso che sia molto importante vivere un clima di amicizia, che dobbiamo costruire e custodire e far crescere anche attraverso la comunicazione. Vengo tra voi con semplicità, in punta di piedi, e la mia prima parola sarà l’ascolto, perché non si può parlare su ciò che non si conosce». Che pare ovvio eppure non lo è, almeno stando al proliferare dei tanti «giornalisti da social», che sentono il bisogno di esprimere un parere su ciascuna cosa, pur non conoscendola affatto. Ma una tendenza spalmata purtroppo anche sui comunicatori di professione, che tendono talvolta a dimenticare le basi del mestiere, prima fra tutte la necessità di verificare di persona l’attendibilità di una notizia. Parlare con il cuore sì, ma «secondo verità», soprattutto.

Il vescovo cita don Tonino Bello, «santo vescovo di terra pugliese», che esortava sempre a vivere «un giornalismo di prossimità», e racconta un aneddoto che parla della necessità di non fidarsi di dati e statistiche – o peggio ancora delle informazioni di seconda mano – per andare a conoscere e vedere da vicino le reali situazioni. Non solo per farle proprie e viverle sulla propria pelle, ma anche per comprendere i sentimenti dei protagonisti, i drammi che vivono, le gioie per cui esultano. Com’è possibile dunque riportare un fatto solo trascrivendo un video oppure limitandosi ad osservare passivamente riportando una mera cronaca senza interpellare chi lo sta vivendo? È esattamente agendo in questo modo che nasce una comunicazione scarna e non umana, ben lontana da quelle che tocca le corde del cuore citata da Bergoglio.

«Non basta l’articolo, non basta il titolo ad effetto – suggerisce il vescovo Vito – non basta la casa, un tetto, occorre un lembo della tua vita, del tuo mantello, perché il tetto da solo non copre come la minestra non scalda se non c’è un po’ di alito umano. Molte volte la gente non ha bisogno del piatto, ma pure della tovaglia che sta sotto, cioè della tenerezza». Una tenerezza di carità e di relazione che dovrebbe permeare ogni comunicazione, in particolar modo quella ecclesiale. Mi sta a cuore la tenerezza della carità. Si tratta di fare come Gesù, diceva don Tonino Bello. Di chiamare per nome, di imparare il nome delle persone, dei poveri, soprattutto».

Dopo la riflessione, spazio alle domande libere, che sono state più riflessioni aperte alla conoscenza e allo scambio di vedute. Monsignor Piccinonna prende appunti, cerca con impegno di memorizzare i primi nomi per rispondere in maniera personalizzata riguardo alla questione posta e alla persona che ha alzato la mano: anche questa è una lezione di giornalismo, in un’epoca di azzeramento dell’originalità di stile di ciascuno. «Permettetemi due premesse, che non sono certamente di difesa», spiega don Vito. «Sono in una fase di ascolto, quindi non ho tutte le risposte rispetto a questioni specifiche. Se non le conosco molto bene, consentitemi di prendere il tempo di approfondire. Dopo questo incontro, raccoglierò le informazioni appropriate perché appunto ci sia la carità, ma ci sia sempre anche la verità».

Dopo l’incontro e la foto ricordo, una semplice colazione insieme per relazionarsi tra colleghi, con l’invito a rivedersi e risentirsi, magari attraverso le tante chat dedicate al mestiere che esistono in città: «Non aspettiamo certo di rivederci l’anno prossimo, molti di noi si vedono anche in molte altre occasioni, si sentono anche tutti i giorni». Sorrisi e finalmente abbracci dopo la lunga epoca del distanziamento, e un pezzo di crostata da dividere con una collega: proprio perché senza tenerezza e relazione vitale, la minestra da sola non scalda.