In molte parti del mondo industrializzato si discute sulla ricerca di nuovi equilibri tra lavoro e tempo libero
Qualcosa sta cambiando. Se non nel concreto, almeno nella percezione di alcuni aspetti della vita. Anche se dalle nostre parti di certi dibattiti non arriva neppure un’eco lontana. Faccio il caso della settimana lavorativa di quattro giorni: non è affatto vicina a diventare la norma, ma si sperimenta sempre di più nel mondo. Lo scorso anno ci ha ragionato la Finlandia, anche se poi non se n’è fatto nulla. Al contrario, in Islanda la soluzione è stata attuata con successo dal 2015 al 2019. La sperimentazione ha coinvolto circa l’1% della popolazione attiva in varie realtà del settore pubblico: scuole materne, uffici e ospedali. I lavoratori sono passati da una settimana di 40 ore a una di 35 ore senza riduzione di stipendio. E la comprovata tenuta della produttività ha consentito ai sindacati islandesi di rinegoziare i modelli lavorativi in molti settori.
Altri esperimenti li stanno conducendo singole aziende, come la spagnola Telefónica, che ha proposto ai suoi dipendenti la rinuncia al 15% di stipendio in cambio di fine settimana lungo e lavoro da remoto per almeno due giorni su quattro. In Giappone il governo ha deciso di incoraggiare le aziende del Paese a lasciar scegliere ai propri dipendenti se lavorare 4 o 5 giorni alla settimana, puntando a creare un migliore equilibrio tra impiego e vita privata. E questo sia per migliorare il tasso di produttività, fornendo l’opportunità ai dipendenti di aggiornare le proprie competenze professionali, sia per garantire maggior tempo libero per le responsabilità familiari, in una società che si confronta anche con il crollo delle nascite e le morti causate dall’eccessivo carico di lavoro.
Sarebbe bello se ne discutesse anche in Italia, con la pandemia che ha gettato nel caos le dinamiche lavoro-famiglia, la conquistata consuetudine con l’occupazione da remoto e un mercato del lavoro che avrebbe bisogno di una messa a punto. L’idea sembra buona: lavorare meno ore, per la stessa somma di denaro, senza perdere produttività, rendendo tutti più felici. Al momento non ha avuto un successo travolgente, ma le poche aziende che ci hanno provato non sembrano intenzionate a tornare indietro. Di sicuro la settimana di quattro giorni ha un gusto più umano. In passato il ritmo della vita era molto più lento e rilassato, c’era meno ricchezza in circolazione, ma molto più tempo a disposizione da dedicare a sé stessi, alla propria famiglia e a qualunque attività si desiderasse fare. Le chiusure forzate degli scorsi mesi sono state dolorose, ma ci hanno fatto anche assoporare qualcosa del genere. Il sistema capitalista ha senza ombra di dubbio portato innovazione, tecnologia e sanità, ha aumentato le entrate delle persone, ma sottraendo loro il tempo per godersele.
Forse oggi si sente il bisogno di un nuovo equilibrio. Impossibile? Mai dire mai. Non è lontano il tempo in cui la settimana lavorativa di cinque giorni sembrava impraticabile. Ed è pur vero che oggi – e sono spesso colletti bianchi – in tanti sono finiti a lavorare sette giorni su sette. Che sia questione di scelte e mentalità, oltre che di organizzazione e senso pratico?
di David Fabrizi, da «Frontiera» n.4 del 4 febbraio 2022
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