Libertà obbligatoria

Le conseguenze della pandemia stanno portando allo scoperto una tensione tra libertà individuale e responsabilità collettiva tipica delle società avanzate

Siamo chiamati a garantire “l’altro”. Si potrebbe sintetizzare così l’invito alla vaccinazione che i vescovi del Lazio hanno recentemente rivolto a quanti si muovono nell’ambito ecclesiale: sacerdoti, religiosi, operatori pastorali, laici impegnati. L’esortazione, che si può leggere dal sito chiesadirieti.it, è accompagnata da alcune indicazioni pratiche sulla ripresa delle attività in presenza nelle parrocchie e sull’uso del Green Pass. Ci si conforma, ovviamente, a quanto stabilito dalla legge, ma nelle parole dei vescovi si trova qualcosa che nello stile della norma non può esserci. È l’idea di lasciarsi guidare dall’amore per il prossimo, dal senso di responsabilità verso gli altri oltre che verso sé stessi.

Una logica di fondo sostanzialmente diversa da quella che agita le minoranze contrarie all’uso della carta verde e del vaccino. In quei contesti, infatti, un argomento che ricorre spesso sta nel mettere la libertà individuale prima di ogni altra considerazione. Una posizione che forse reggerebbe se ciascuno potesse davvero agire perfettamente isolato, ma nessuno è semplicemente sé stesso. Anche quando non lo si vuole riconoscere, siamo fatti di relazioni. E in questo momento, con la pandemia non ancora sotto controllo, le paure, le convinzioni, le scelte di ciascuno hanno inevitabili conseguenze sulle vite altrui. Prima del bene individuale, va messo quello sociale, che è resta il vero custode di ogni possibile libertà.

E pazienza se le misure adottate per contrastare il contagio portano complicazioni alla vita quotidiana, e se a volte risultano incoerenti. Tutto si può migliorare e certi cortocircuiti emergono perché abitiamo una realtà estremamente complessa e diversificata. Nel progettare provvedimenti generali è fisiologico che situazioni particolari sfuggano e che alcune norme si sovrappongano ed entrino in conflitto. Ci faremo di sicuro i conti anche in queste prime settimane di introduzione obbligatoria del Green Pass nei luoghi di lavoro. Contraddizioni e criticità emergeranno senza dubbio, ma non c’è motivo di credere che le diverse esigenze non si possano armonizzare.

Il metodo può essere quello dialogante e partecipativo introdotto dal cammino sinodale. Se va bene per la realtà vasta, universale e varia della Chiesa può senz’altro riuscire utile anche in situazioni più piccole. «La crisi sanitaria – spiegano i vescovi italiani – ha rivelato che le vicende di ciascuno si intrecciano con quelle degli altri e si sviluppano insieme ad esse. Anzi, ha drammaticamente svelato che senza l’ascolto reciproco e un cammino comune si finisce in una nuova torre di Babele Quando, per contro, la fraternità prende il sopravvento sull’egoismo individuale dimostra che non si tratta più di un’utopia. Ma di un modo di stare al mondo che diventa criterio politico per affrontare le grandi sfide del momento presente».

di David Fabrizi, pubblicato sul numero 36 di «Frontiera», del 15 ottobre 2021

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