Per fare i conti con la realtà a volte è utile un inciampo, un anello che non tiene. Come quando un servizio abituale manca all’improvviso
È di qualche giorno fa una disfunzione delle reti sociali Facebook, Instagram e Whatsapp. Per qualche ora non è stato possibile scambiarsi messaggi, inviare immagini, farsi gli affari altrui. Nulla di irreparabile, insomma, o quasi. Il disagio tecnico ha fatto trasparire quanto profondamente queste applicazioni si sono radicate nelle nostre vite. Lo si è visto dall’ironia che ha colpito Chiara Ferragni, immaginata al limite della disperazione. È stato un modo per guardarsi allo specchio, pur evitando di fare autocritica. Perché sui social abbiamo trasferito molte funzioni e quasi senza accorgercene.
Non tutti si sognano influencer, ma molti usano le reti sociali per promuovere il proprio lavoro e costruirsi un’immagine. E poi quasi non esiste realtà priva di una bacheca su Facebook: aziende, comuni, istituzioni, servizi pubblici. Migliaia di imprese in tutto il mondo si appoggiano quasi esclusivamente ai social per la comunicazione e la pubblicità. Un gran numero di operatori in vari settori tiene i rapporti con i propri utenti o clienti attraverso le reti di Zuckerberg. Non è indifferente, allora, che funzionino o meno. Pensiamo a Facebook Login: quando si deve creare l’utenza per l’accesso a un servizio online è frequente vedersi offrire come alternativa l’uso della proprie credenziali Facebook. Spesso si accetta per risparmiare tempo e non doversi ricordare l’ennesima password, salvo poi trovarsi con servizi e attività economiche inaccessibili quando il social non funziona.
Queste tecnologie, insomma, vanno prese sul serio. E bisognerebbe anche farsi domande su cosa comportano le loro fragilità. Fa comodo smaterializzare documenti e procedure. Ma è meglio ricordare come tutto sia fragile e come basti un intoppo banale per perdere archivi preziosi. Accade ad esempio con i giornali: quelli conservati nelle emeroteche costituiscono una memoria affidabile. Quelli online saranno disponibili fintanto che qualcuno pagherà il conto del provider. Quando non ci sarà più, migliaia di pagine saranno semplicemente cancellate. Succede continuamente e lo sperimentiamo ogni volta che un link ci porta ad una pagina inesistente.
Lo stesso vale per i cosiddetti servizi cloud dove oggi, spesso con scarsa consapevolezza, accumuliamo le tracce della nostra esistenza. E poi con gli intrattenimenti in abbonamento come Netflix o Spotify, che trasformano in servizio ciò che un tempo era un possesso. Va tutto bene, ma bisogna essere consapevoli del tempo che si vive, sapere di abitare un mondo in cui sta contemporaneamente dentro e fuori dal web.
Qualche indicazione si ricava da san Francesco, che seppe tenere unite la dimensione intangibile dell’anima e quella concreta. Certo, lui guardava all’Eterno, ma a noi più poveri di spirito può almeno insegnare a non impigliarci nell’astrattezza della rete. A Dio guardava anche Massimo Rinaldi, e da lì trasse la capacità di farsi interprete della complessità della propria epoca, aiutando gli altri a comprenderla attraverso i mezzi di comunicazione. La reatina Ludovica, intanto, il software lo usa per progettare villaggi capaci di favorire relazioni e comunità. E per non subire troppo i social possiamo ancora valorizzare al meglio le reti sociali del volontariato e del fare come sono l’Alcli Giorgio e Silvia e la Loco Motiva.
Di queste cose parliamo questa settimana sul giornale, nella doppia dimensione della carta e del digitale, provando anche noi a capirci qualcosa in questa sorta di salto di specie.
di David Fabrizi, pubblicato su «Frontiera» n. 38 dell’8 ottobre 2021.
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