Si rivolge a una platea molto vasta il Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che papa Francesco ha firmato nella ricorrenza del patrono dei giornalisti. Se è vero che la nostra è la società dell’informazione, il testo è per tutti. Tutti abitiamo un mondo che oramai si regge sull’informatica e le reti telematiche. Una situazione che apre a grandi opportunità, ma anche a qualche problema.
Per l’informazione in quanto tale, ad esempio, c’è il diffuso fenomeno dei “giornali fotocopia”, costruiti alla scrivania con quello che arriva nella cassetta della posta. Al contrario, papa Francesco invita a consumare la suola delle scarpe, ad andare e vedere per restituire una narrazione onesta e partecipata della realtà. Un’informazione in uscita, in parallelo alla Chiesa in uscita, che richiede di incontrare i protagonisti e verificare i fatti. «Nulla sostituisce il vedere di persona», sottolinea il Pontefice, ma non per questo disconosce il potenziale dei social media. Ne sottolinea i difetti, ma anche i vantaggi: ad esempio la tempestività, indispensabile durante certe emergenze. Il richiamo è a un uso più responsabile, sia quando si diffondono, sia quando si ricevono contenuti.
Ma forse qui il discorso si può spingere ancora più in là, perché il digitale sta trasformando profondamente non solo la realtà che ci circonda, ma il modo stesso in cui la pensiamo. Siamo al punto di non poter più separare nettamente ciò che è analogico da ciò che è digitale. In decine di situazioni il passaggio tra le due dimensioni avviene senza soluzione di continuità. E un’informazione matura non solo deve approfittare di queste esperienze ibride, in parte online e in parte offline, ma aiutare a comprenderle. Durante la pandemia, ad esempio, certi fenomeni hanno avuto un’accelerazione e hanno coinvolto come mai prima il commercio, le interazioni sociali, la scuola, il lavoro, la pubblica amministrazione. E anche parroci e parrocchie qualche esperimento si sono ritrovati a farlo. Con la pandemia, abbiamo vissuto un po’ troppo online. Siamo passati dal tutto analogico alla vita sullo schermo. All’uscita da questa crisi dovremo trovare un giusto equilibrio.
Il compito non sembra estraneo alla Chiesa, che nella sua storia ha sempre coltivato un rapporto fecondo con i media. E la funzione educativa svolta fino a ieri con il cinema in oratorio non può oggi essere assunta rispetto al digitale? Gli aspetti da affrontare sono tanti e aiuterebbero a essere più avvertiti rispetto ai dispositivi che abbiamo in mano ogni giorno e a quelli più invisibili che ci accompagnano sotto forma di assistenti virtuali e internet delle cose. Troppo spesso siamo soli di fronte alle interfacce: mettersi insieme per smontarle e vedere come funzionano non sarebbe una cattiva idea.
L’imperativo «vieni e vedi» rivolto agli operatori della comunicazione, dicevamo, è un’esortazione per tutti: a fare i conti con la complessità del mondo, a non dare le cose per scontate, a essere testimoni. E se la sfida che ci attende è quella di comunicare «incontrando le persone dove e come sono», non possiamo dimenticare che spesso hanno un piede dentro e uno fuori dalla rete.
di David Fabrizi, da «Frontiera» n.3 del 29 gennaio 2021
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