La Bibbia, modello per le storie di chi non ha voce

«Cosa vuol dire riscoprire un giornalismo che sappia mettersi in gioco fino in fondo, vincendo la pigrizia di rilanciare una notizia senza averla verificata?». È l’interrogativo che pone la biblista Lidia Maggi attraverso i canali social e i siti internet coinvolti dal sedicesimo Festival della Comunicazione. Sullo sfondo c’è ovviamente il «Vieni e vedi» del Messaggio di papa Francesco per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sul quale le Paoline e i Paolini, insieme alle diocesi di Molfetta e Rieti hanno costruito il programma.

Per una comunicazione responsabile

«Vieni e vedi – sottolinea Lidia Maggi – perché la notizia, per aiutarci a fare verità sul mondo, ha bisogno di testimoni oculari, di gambe, di voci, di piedi, di corpi, di persone con tutti i propri sensi attivi: persone che si interrogano, che vogliono capire e dedicare del tempo a quanto vedono e a quanto ascoltano». Dare una notizia diviene così una responsabilità, perché

«la notizia rilanciata senza questa presa in carico rischia di deformarsi, di distorcersi, di subire delle amputazioni o delle aggiunte: manipolazioni che trasformano la verità in una maschera grottesca, la notizia nella sua caricatura».

La notizia che apre nuovi orizzonti

Una lezione che è presente in «Quei dettagli di cronaca nel Vangelo» che anche il Pontefice riprende nel Messaggio, con la risposta di Gesù ai primi discepoli che vogliono conoscerlo, dopo il battesimo nel fiume Giordano. Perché anche la fede cristiana inizia e si comunica così: «come una conoscenza diretta, nata dall’esperienza, non per sentito dire».

La fede, come la notizia, nasce dall’incontro, che è come «una finestra che apre nuovi orizzonti». Ed è forse per questo che «nella Bibbia l’ospitalità e l’accoglienza dell’altro è sacra». Non solo per un «imperativo etico» o un «precetto», ma perché ospitalità e accoglienza risentono del «fascino che emana lo straniero, che porta notizie e ci fa conoscere altri sguardi sul mondo, altre lingue, altri usi, altri sapori». Il forestiero è sacro perché «allarga i tuoi confini e ti fa conoscere il mondo oltre la siepe; ti ricorda che il mondo è più vasto dell’orizzonte del tuo sguardo». Lo straniero che si incontra è il farsi vicino di ciò che è lontano. «Ma quanto il lontano non può venire direttamente a te, ecco che questa ricchezza, questo bagaglio di informazioni, di notizie da altri mondi, è affidato ai giornalisti, ai reporter, agli esploratori, a coloro che uscendo dal proprio mondo esplorano territori lontani e li raccontano, nella ricchezza e nelle fatiche; oppure, penetrando meglio il proprio mondo, ne raccontano le pieghe, le zone d’ombra, le altre prospettive».

Qui sta il punto:

«Divertiamo tutti un po’ più poveri, un po’ più aridi, senza giornalisti esploratori che ci avvicinano al mondo e che vigilano sulle barbarie lontane dai riflettori, che ci raccontano le fatiche e le buone pratiche in terre lontane e quelle sotto al naso che non vogliamo vedere».

Al reporter, al «messaggero di notizie», compete dunque la natura dell’ospite atteso, necessario «per avvicinare il lontano, per far conoscere altri sguardi sul mondo», specialmente in un tempo attraversato da una guerra condotta con «informazioni taciute, amplificate, distorte».

Dio, giornalista di Frontiera

Nell’era delle fake news, nota Lidia Maggi, chi frequenta le scritture rimane colpito da «un Dio che parla e vuole farsi capire, che per parlare non usa un linguaggio esoterico, ma la grammatica umana». Di certo un Dio che «si sottrae alle manipolazioni» e alle false immagini prodotte dall’idolatria, attraverso le quali si esercita «la pretesa umana di controllarlo». L’idolo, come le fake news, è una comunicazione adulterata che confonde e distrae fino a distorcere le conoscenze.

La Bibbia è il luogo in cui Dio si disvela come colui che comunica: «un tu che chiama». Chiama addirittura il mondo all’esistenza per poi farne il luogo in cui si lascia incontrare e conoscere. Leggendo la Bibbia attraverso le categorie della comunicazione, si può intravedere un «Dio giornalista giornalista di frontiera, che denuncia le deformazioni del suo creato, che smaschera il potere del lupo travestito da agnello: i profeti potrebbero essere come dei reporter che fanno lo scoop sulle distorsioni del potere».

Ma c’è anche un altra modalità per guardare alle Scritture come modello di giornalismo: «La Bibbia ci rivela che Dio, questo comunicatore instancabile, si fa carico di raccontare una storia che non compare nelle prime pagine dei giornali e nemmeno negli annali delle cronache, perché è sostanzialmente la storia dei perdenti, dei sommersi, di chi non ha mezzi per far sentire la sua voce. La storia di un gruppo di schiavi, custodita da un Dio che si fa carico di raccontarla». Dio non è il modello di un semplice comunicatore, ma di colui che sceglie di comunicare una storia che non ha diritto di cittadinanza nella prima pagina del potere.

Una comunicazione sovversiva

Le Scritture sono ricche di brani in cui il popolo si deve affidare al racconto per capire il mondo, per decidere come agire, come muoversi, cosa decidere. Come e se riportiamo quanto abbiamo visto e verificato interroga tutti: «non soltanto la professione dei giornalisti e delle giornaliste, ma chiunque si trova a dover comunicare una notizia» o, nel contesto dei social, a condividerla. «Qual è lo scopo di amplificare una notizia e rilanciarla», si domanda la biblista, e perché lo facciamo? E perché, anche se non se facciamo neppure in tempo ad ascoltarla e verificarla, l’abbiamo già commentata? Il giornalismo oggi è un mestiere popolare, nel senso che è alla portata di tutti. Con i social «Ognuno di noi diventa giornalista e siamo invasi da notizie che ci ingolfano».

«Vieni e vedi» può allora suonare come un invito a farsi carico delle notizie, ad aver cura di ciò che comunichiamo, facendo resistenza alla tentazione di amplificare quelle «che hanno già tantissimo spazio», e a volte non si capisce neppure il perché, mentre troppo poco «siamo attenti nel custodire la voce di chi non trova spazio nei social e nella stampa». Eppure, «raccontare la storia dei sommersi è mettersi in linea con la Parola di Dio». La Bibbia può allora fornire un modello a questo cambiamento dello sguardo, indicare un’apertura a questa comunicazione nuova, sovversiva perché «mette in scena un mondo sottosopra, dove i perdenti vengono innalzati e i potenti abbassati». Una comunicazione che dedica la prima pagina agli schiavi, che «racconta il mondo a partire da un punto di vista che non vorremmo ascoltare perché siamo più a nostro agio con le cronache di corte».

A guardare e a raccontare l’altra parte del mondo, invita invece il Papa nel suo Messaggio: «a raccontare la pandemia non soltanto dal punto di vista nei paesi ricchi, ma facendosi carico di guardare alla pandemia dal Sud del mondo», a fare cioè proprio lo sguardo di chi si vede negati i vaccini, di chi non ha né gli ha spazi né i tempi per mantenere le distanze ed è costretto a vivere nella promiscuità, di chi, quando si ammala, non ha diritto alla sanità.