Confusa e felice. È una vecchia canzone di Carmen Consoli, ma il titolo descrive bene la situazione. Per la confusione è facile: di quello che accade non si capisce quasi più niente. Si fa davvero fatica a stare appresso alle cose, a leggere tutto, a riannodare i fili dei fatti e delle opinioni. Le circostanze non sono del tutto sfavorevoli, ma domina l’incertezza.
Pensiamo al Pnrr: è una grande occasione per modernizzare il Paese, ma si teme possa essere azzoppato dal costo crescente dell’energia. Sale anche il prezzo delle materie prime, che erode il margine di competitività di molte aziende. Soffre pure la ricostruzione dopo il terremoto, per la quale scarseggiano i professionisti e le imprese, catturati dai bonus di Stato per ammodernare il patrimonio edilizio. Il tutto mettendo tra parentesi i venti di guerra ai confini dell’Ucraina, che rischiano di sbilanciare delicati equilibri geopolitici.
Non è chiara neppure la situazione sanitaria. Sembriamo alla fine della crisi: tolto l’obbligo di mascherina all’aperto speriamo di andare verso un progressivo recupero della normalità. Ma dopo due anni di pandemia siamo tutti frastornati e non torneremo proprio come prima. Il gusto acquisito per tante nuove abitudini non è del tutto reversibile: non solo i tanti piccoli lussi a portata di app, ma anche il modo di lavorare e di muoversi, il significato assegnato al tempo e alla casa.
Pure il quadro sociale è ingarbugliato. Per stare agli ultimi fatti, si può citare il referendum sul suicidio assistito: è risultato inammissibile, ma questo non pone certo fine al dibattito sul fine vita, come la bocciatura del quesito sulla legalizzazione della cannabis non chiude il discorso sulle sostanze stupefacenti. E non sono di certo i soli nodi bioetici irrisolti.
Normale che anche i credenti siano un po’ confusi. Però sta accadendo qualcosa di nuovo: in questo momento di assoluta incertezza la Chiesa ha deciso di aprire il grande cantiere del Cammino Sinodale. Se ne parla ancora poco e in pochi hanno capito cosa significa e cosa bisogna fare. Ma proprio questa è la parte felice. La parola rimanda a ciò che è produttivo, fecondo, fertile. Cioè aperto al futuro, che per sua natura è incerto, ma carico di possibilità, disponibile a lasciarsi influenzare positivamente.
Il Sinodo chiama a confrontarsi con un Paese in crisi di identità. È una grande opportunità per trovare tutti insieme il modo di annunciare il Vangelo, per sintonizzare il suo messaggio sulle frequenze dell’uomo di oggi. E non sarà possibile senza cercare le ragioni del nostro vivere insieme, senza affrontare le emergenze rimosse, le urgenze lasciate indietro. Non sarà possibile senza riconoscere gli altri come portatori di un qualcosa che ci arricchisce sempre, senza riscoprire il valore di essere comunità.
Che si riesca non è scontato, che ci si provi è già una buona notizia in un contesto che pena soprattutto per una mancanza quasi assoluta di speranza.
di David Fabrizi, da «Frontiera» n.6 del 18 febbraio 2022
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Foto di Gino Crescoli da Pixabay