Si avvicina la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali e il Festival della Comunicazione promosso dalla nostra diocesi insieme alla Chiesa di Molfetta, su iniziativa della famiglia Paolina, sta compiendo il suo percorso. La proposta si è svolta completamente on-line come i tempi richiedono e molto si è riflettuto proprio sulla rete e su come essa abbia scombinato le carte all’informazione: dal punto di vista della tecnica, degli approcci, della partecipazione.
Il tema è centrale, e lo ha confermato, se mai ce ne fosse stato bisogno, la pandemia. Basta il tempo di un clic e una notizia, vera o falsa che sia, si gonfia a dismisura. E lo stesso accade con le foto e i commenti. Questa possibilità sembra assottigliare la distanza tra chi l’informazione la produce e chi la consuma. Lo smartphone, coltellino svizzero dei nostri giorni, ha scardinato anche questa differenza. I social fanno il resto confondendo i ruoli, mettendo tutto e tutti sullo stesso piano. È un bene, se si garantisce a ciascuno una voce; è un male, se aumenta il rumore di fondo e a decidere cosa mettere in evidenza sono gli interessi o gli algoritmi.
In ogni caso il giornalismo è divenuto un mestiere popolare, percepito cioè alla portata di tutti, e sono sempre meno quelli disposti a pagare per leggere e informarsi. In fondo, si crede, oggi sono le notizie a venire da noi. Non appena accade qualcosa il telefono vibra nella tasca per la notifica. Su carta c’è la stampa free press, regalata agli angoli delle strade, con i titoli strillati e poco testo, da leggere in fretta e buttare via. Oppure la rivista patinata che si trova non richiesta nella cassetta della posta, insieme al resto della pubblicità. Tutto il resto sembra destinato a soccombere o a trasferirsi definitivamente in rete, trasformando gli inserzionisti in editori di fatto.
Oppure no: forse sarà l’informazione di qualità a tornare più importante. Almeno a dar retta a Jeff Bezos: uno che vede lungo e con i soldi di Amazon, oltre a pensare alla conquista dello spazio, qualche anno fa ha acquistato il Washington Post. Il perché l’ha spiegato Mariangela Marseglia, country manager per Italia e Spagna del colosso del commercio elettronico, in un’intervista raccolta da Stefano Lorenzetto per il corriere.it: «Il citizen journalism contiene un inganno: a chiunque tenga un telefonino in mano fa credere di essere un giornalista. È la censura nella sua forma moderna: in passato si praticava nascondendo le notizie, oggi moltiplicandole a dismisura, cosicché non riesci più a distinguere il vero dal falso. Bezos ha capito che l’editoria autorevole alla lunga è vincente. Infatti il Washington Post cresce».
Naturalmente non è scontato che la scommessa sulla qualità paghi sempre. I fattori che influiscono sul processo di confezionamento e di produzione dell’informazione sono tanti, e coniugarli è forse più una sfida che una scommessa. E se di sfida si tratta, è quella alla quale chiama papa Francesco: di essere davvero un ponte, per la comunità e verso il mondo che cambia.
di David Fabrizi, da «Frontiera» n.18 del 14 maggio 2021
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