Tra le buone notizie della settimana c’è l’arrivo della sonda Perseverance sul suolo marziano. E non solo perché il tochdown del rover su Marte ci ha distratto un attimo dal timore di un nuovo lockdown sulla Terra, ma anche perché l’impresa straordinaria è riuscita proprio a dispetto di una pandemia che sembra impedirci di fare e di vivere. Forse è per questo che la discesa di Percy, trasmessa in diretta, ha sollecitato la curiosità di tanti, nonostante il pianeta rosso sembri ormai abitualmente frequentato da robot e sonde. Per un po’ è stato bello mettere da parte i problemi di quaggiù e starsene, almeno idealmente, con il naso all’insù, ad allargare lo sguardo verso lo spazio.
E senza che il tutto avesse il sapore di una fuga dalla realtà, di un ripiego, di una consolazione. Al contrario: a più di cinquant’anni dalla conquista della Luna, l’impresa spaziale è l’immagine dello spirito umano che non si ferma, del bisogno di ampliare l’orizzonte, della necessità di abbracciare mondi nuovi. Una perseveranza che la missione spaziale ha dichiarato fin dal nome. Per dire di un’ indagine che non si arrende, di una ricerca di vita che questa volta è anche più di una metafora.
Naturalmente gli scienziati non si aspettano di trovare segni di chissà quale civiltà marziana. Ma Percy è discesa su quello che in un tempo remoto era il fondo di un lago. E dove è stata acqua potrebbe essersi sviluppato qualche microrganismo unicellulare.
Quelli che hanno a cuore le cose utili dicono che la missione stimolerà l’innovazione e la ricerca, con positive ricadute economiche, e sperano che ispirerà i giovani a studiare la scienza. Per questo si lamentano dei ritardi nell’esplorazione marziana da parte dell’Europa, rimasta indietro rispetto a Stati Uniti, Russia, Europa, India ed Emirati Arabi.
Hanno ragione, ma sono cose che vengono dopo. Prima c’è la spinta a non lasciarsi fermare da difficoltà, distanze e dimensioni, nel tempo e nello spazio. Una spinta che ci ha fatto approdare su un deserto molto lontano, a cercare qualcosa al limite dell’introvabile.
La lezione è preziosa e possiamo farne l’immagine di un altro deserto, quello della Quaresima. Anche su questo Perseverance, ci suggerisce qualcosa. Per compiere la sua lunga traversata e portare a termine la missione, la sonda è stata dotata solo di strumenti resistenti ed essenziali. Come digiuno e astinenza, sono rinunce meditate, che consentono di staccarsi da terra, di muovere gli occhi dal basso verso l’alto, di dare retta alla nostalgia del Cielo.
di David Fabrizi, da «Frontiera» n.7 del 26 febbraio 2021
foto © Nasa
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