Rischi e opportunità del web, padre Benanti: «necessaria una educazione ai media digitali»

«Oltre che frate, faccio il docente: mi occupo di etica delle tecnologie e in particolare del digitale, di algoritmi, di intelligenza artificiale». A parlare è Paolo Benanti, francescano del Terzo Ordine regolare. Con lui, in parallelo al giornalista di Tv2000, Fabio Bolzetta, si è andati ad indagare problemi e opportunità del web rispetto al tema della comunicazione: declinando il paragrafo di “Vieni e vedi”, il Messaggio diffuso da papa Francesco in vista della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Il tutto sviluppato per il Festival della Comunicazione promosso dalle famiglie delle Paoline e dei Paolini, insieme alle diocesi di Molfetta e Rieti.

Padre Benanti ha parlato dei cambiamenti introdotti dal digitale: non solo nell’accelezione improvvisa che ha portato nei meccanismi di diffusione delle informazioni, ma anche per la capacità di moltiplicarne le destinazioni con un semplice click. Una molteplicità che cambia il rapporto tra il produttore e il consumatore e per certi versi confonde i ruoli, perché viene a ridursi l’autorevolezza delle fonti: «nell’epoca del digitale siamo tutti consumatori di contenuti, ma siamo anche tutti i produttori». Basta pensare a Facebook, dove non sono leggiamo, ma commentiamo e il tutto poi rimbalza sugli altri mezzi sociali. E lo stesso avviene con le piattaforme video. «Nella rivoluzione che ci fa produttori-consumatori, la vera sfida quella essere dei consum-attori, cioè capaci di vivere con protagonismo tutto questo, e non semplicemente degli ingoiatori di contributi».

Occorre maggiore responsabilità, una consapevolezza che aiuta a discernere tra i rischi e le opportunità. Un’opportunità, ad esempio, è che «chiunque, anche se minoranza, anche se non ha uno studio televisivo, una casa editrice oppure, una stazione radio, può però diffondere le sue notizie. Quindi tutti diventano importanti e tutti lo possono fare informazione velocemente». Assistiamo perciò a una sorta di democratizzazione dei mezzi di comunicazione. Un rischio è però prioprio in questa velocità, perché «tantissimi messaggi ci tolgono a volte il respiro, ci tolgono il tempo per farli sedimentare, per capire qual è il sapore delle notizie, dei messaggi comunicativi che riceviamo». “Sapore” inteso come “sapienza”, come capacità di giungere al valore contenutistico che c’è dietro notizia. E alla sua intenzione, perché in «questo flusso ininterrotto di comunicazione troviamo tante persone che cercano opportunità di guadagno, tante persone che non hanno una cura professionale della comunicazione. Quindi la comunicazione può diventare falsa e fuorviante; a volte può proprio danneggiare.

Un rischio, questo della mancanza di verità, da contrastare con l’educazione: una alfabetizzazione digitale che «non riguarda solo i ragazzi, non guarda non riguarda solo i piccoli, ma anche le persone adulte, già mature, che hanno conosciuto il digitale tardi e quindi non ne conoscono il significato, la portata. Questa media education deve sviluppare senso critico, capacità di discernimento, per saper soppesare cosa di quello che viene ha un’assonanza con il vero oppure no». E se il problema di questo tempo è nell’educazione, il punto sta nel trovare educatori in grado di compiere questa trasmissione di valori, «che sappiano portare i nostri cuori assetati di verità a riconoscere quello che della verità ha il sapore».