Cosa ci mettiamo noi?

Dopo essere stato discusso e approvato dal Parlamento, il Piano nazionale di ripresa e resilienza è in attesa del parere delle autorità europee. Il passaggio non dovrebbe essere problematico, perché il confronto con l’Ue – da cui verrà la maggior parte delle risorse – è stato già serrato in fase di redazione. La prospettiva è dunque buona: l’Italia si prepara a ricevere e investire su se stessa centinaia di miliardi di euro: per riparare i danni causati dalla pandemia, ma anche per superare storiche inefficienze.

Il Governo ha articolato un vasto programma in sei missioni: Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura (49,2 miliardi); Rivoluzione verde e transizione ecologica (68,6 miliardi); Infrastrutture per una mobilità sostenibile (31,4 miliardi); Istruzione e ricerca (31,9 miliardi); Inclusione e coesione (22,4 miliardi); Salute (18,5 miliardi). Ma gli investimenti non sono da leggere a compartimenti stagni: la digitalizzazione, le politiche ambientali e quelle per l’inclusione, ad esempio, avranno positive ricadute anche sulla salute. Una trasversalità che si legge anche nell’ambizioso progetto di messa a punto degli apparati dello Stato che è stato previsto per rendere più efficaci gli investimenti. Si parla di riforma della pubblica amministrazione, della giustizia, della concorrenza, e di interventi di semplificazione normativa.

Lo sforzo è notevole, ma la posta in gioco è molto alta. «C’è anche e soprattutto il destino del Paese, la misura di quello che sarà il suo ruolo nella comunità internazionale, la sua credibilità e reputazione come fondatore dell’Unione europea e protagonista del mondo occidentale». Nel presentare al Parlamento le 337 pagine del Piano nazionale di ripresa e resilienza, Mario Draghi ha adottato un registro alto: «Non è solo una questione di reddito, lavoro, benessere, ma anche di valori civili, di sentimenti della nostra comunità nazionale che nessun numero, nessuna tabella potranno mai rappresentare».
Come a dire che da adesso non se ne può fare più una questione di risorse. Forse non lo è mai stata. E ora che i soldi ce li mette l’Europa noi cosa ci mettiamo?

Le missioni approvate dal Parlamento per migliorare il Paese ci riguardano personalmente. La transizione ecologica, ad esempio, non è possibile senza cambiare anche le nostre abitudini, il modo in cui abitiamo le città, l’uso che facciamo dei trasporti, i nostri consumi. E una sanità migliore ha bisogno anche di un approccio più consapevole da parte dell’utenza che finora, ad esempio, ha impropriamente intasato i pronto soccorso. E una pubblica amministrazione più efficiente richiederà anche ai cittadini più refrattari e meno attrezzati lo sforzo di un maggior ricorso alle soluzioni digitali.

Dall’alto arrivano progetti e risorse, ma quando si costruisce bisogna pur sempre partire dalla base. E quello che stiamo vivendo sembra essere davvero il tempo di rimboccarsi le maniche. Con uno slancio di generosità al quale non siamo più abituati da tempo: quello di fare pensando a chi verrà dopo di noi.

di David Fabrizi, da «Frontiera» n.16 del 30 aprile 2021

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(immagine dal sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri)